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Per Aspera Ad Veritatem n.25
Corte Europea dei Diritti dell’Uomo

Sentenza Società Colas Est ed altre contro Francia n. 37971/97, Strasburgo, 16 luglio 2002, concernente l’applicazione dell’art. 8 della Convenzione dei diritti dell’uomo



Nel caso Società Colas Est ed altre contro Francia,
la Corte europea dei Diritti dell’Uomo (seconda sezione), composta da:
Loucaides, presidente, J.-P. Costa, C. Birsan, K. Jungwiert, V. Butkevych, W. Thomassen, A. Mularoni, giudici, e S. Dolle, cancelliere di sezione.

Dopo aver deliberato in camera di consiglio il 19 giugno 2001 ed il 12 marzo 2002,
Emette la sentenza che segue, adottata in quest’ultima data:






1. All’origine della questione si trova un’istanza (n. 37971/97) diretta contro la Repubblica francese e di cui Colas Est, Colas Ovest e Sacer (“le ricorrenti”) sono società francesi, rispettivamente con sede a Colmar, Mérignac e Boulogne-Billancourt. Esse sono rappresentate dinanzi alla Corte dall’Avv. Goguel, avvocato del foro di Parigi. Le ricorrenti avevano adito la Commissione europea dei Diritti dell’Uomo (“la Commissione”) il 2 dicembre 1996 ai sensi del previgente articolo 25 della Convenzione per la salvaguardia dei Diritti dell’Uomo e delle Libertà fondamentali (“la Convenzione”).
2. Le ricorrenti lamentavano la violazione del proprio domicilio invocando l’articolo 8 della Convenzione.
3. L’istanza è stata trasmessa alla Corte il 1° novembre 1998, data d’entrata in vigore del Protocollo n. 11 della Convenzione (articolo 5 § 2 del Protocollo n. 11). La Commissione ha dichiarato l’istanza in parte ricevibile il 21 ottobre 1998 poi, non avendone potuto terminare l’esame entro il 1° novembre 1999, in tale data l’ha deferita alla Corte, in conformità all’articolo 5 § 3, seconda frase, del Protocollo n. 11 della Convenzione.
4. L’istanza è stata assegnata alla terza sezione della Corte (articolo 52 § 1 del regolamento). Al suo interno, la camera incaricata di esaminare la questione (articolo 27 § 1 della Convenzione) è stata costituita in conformità a quanto prescritto dall’articolo 26 § 1 del regolamento.
5. Con una decisione in data 19 giugno 2001, la camera ha dichiarato l’istanza ricevibile.
6. Sia le ricorrenti che il Governo hanno depositato osservazioni scritte sul merito della questione (articolo 59 § 1 del regolamento).
7. Il 1° novembre 2001, la Corte ha modificato la composizione delle sue sezioni (articolo 25 § 1 del regolamento della Corte). La presente istanza è stata assegnata alla seconda sezione così modificata (articolo 52 § 1).









8. Poiché il Syndacat National des Entreprises de Second Oeuvre (Sindacato Nazionale delle imprese di completamento delle costruzioni) (SNSO) aveva denunciato la sussistenza di alcune pratiche illecite commesse da grandi imprese di costruzione, l’amministrazione centrale chiese alla Direction Nationale de Enquêtes (Direzione Nazionale delle Inchieste) (DNE) di effettuare un’inchiesta amministrativa a largo raggio sul comportamento delle imprese di lavori pubblici.
9. Con una nota in data 9 ottobre 1985, il direttore della DNE, collegata alla Direction Générale de la Concurrence et de la Consommation (Direzione Generale della Concorrenza e del Consumo), denominata dal 5 novembre 1985 Direction Générale de la Concurrence, de la Consommation et de la Répression de Fraudes (Direzione Generale della Concorrenza, del Consumo e della Repressione delle Frodi) (in seguito denominata “DGCCRF”) chiese precisazioni ai responsabili interdipartimentali sull’istanza in parola circa la condotta delle imprese di lavori pubblici stradali al momento della conclusione dei mercati locali. Alla nota venne allegata la lista delle imprese da ispezionare, o presso la sede o presso le agenzie locali, in diciassette dipartimenti. In essa figuravano le tre società ricorrenti.
10. Il 19 novembre 1985, inquirenti della DGCCRF effettuarono, senza autorizzazione alcuna da parte dei responsabili delle società interessate, un intervento simultaneo presso cinquantasei società e, nell’occasione, sequestrarono diverse migliaia di documenti. In un secondo momento, il 15 ottobre 1986, hanno proceduto ad investigazioni supplementari al fine di raccogliere delle dichiarazioni.
11. Ogni volta, gli inquirenti si sono recati nei locali delle società ricorrenti, intervenendo sulla base di quanto sancito dalle disposizioni dell’ordinanza n. 45-1484 del 30 giugno 1945, che non prevede alcuna autorizzazione giudiziaria. Al momento di tali interventi, gli inquirenti hanno proceduto al sequestro di molti documenti che hanno consentito di verificare la sussistenza di intenti illeciti relativi ad alcuni mercati che tuttavia non figurano sulla lista dei mercati interessati dall’inchiesta.
12. Il 14 novembre 1986, il ministro dell’Economia, delle Finanze e della Privatizzazione ha adito, in base a tali documenti, la Commission de la Concurrence (Commissione della Concorrenza) (denominata, dopo l’entrata in vigore dell’ordinanza del 1° dicembre 1986, Conseil de la Concurrence - Consiglio della Concorrenza) in relazione a fatti che riteneva potessero essere considerati concertazione tra imprese distinte, ovvero simulazione di concorrenza tra imprese appartenenti ad uno stesso gruppo al momento della conclusione dei mercati locali di lavori pubblici stradali, ovvero clausole che limitano il gioco della concorrenza nell’utilizzazione delle centrali per la realizzazione di agglomerati bituminosi.
13. Il 30 luglio 1987, il direttore generale della DGCCRF inviò un’istanza complementare al Consiglio della Concorrenza per fatti della stessa natura. Tale istanza riguardava cinquantacinque imprese, tra cui le ricorrenti.
14. Con decisione in data 25 ottobre 1989, pubblicata sul Bulletin de la Concurrence, de la Consommation et de la Répression des Fraudes (Bollettino della Concorrenza, del Consumo e della Repressione delle Frodi) (in seguito denominato “BOCCRF”), il Consiglio della Concorrenza, dopo aver constatato il ricorso a pratiche proibite ai sensi dell’ordinanza del 30 giugno 1945 e dell’ordinanza del 1°dicembre 1986, inflisse alle ricorrenti sanzioni pecuniarie per un ammontare, rispettivamente, di dodici milioni di franchi, di quattro milioni di franchi e di sei milioni di franchi.
15. Con sentenza del 4 luglio 1990, pubblicata sul BOCCRF, la Corte d’appello di Parigi confermò l’insieme delle sanzioni. Le società ricorrenti ricorsero in cassazione.
16. Con sentenza del 6 ottobre 1992, ugualmente pubblicata sul BOCCRF, la Chambre Commerciale (Sezione Commerciale) della Corte di cassazione annullò la sentenza della Corte d’appello di Parigi, con la motivazione che quest’ultima non aveva dato, per ciò che concerne la determinazione del fatturato e dell’ammontare delle sanzioni, base legale alla propria decisione. Essa rinviò la questione dinanzi alla Corte d’appello di Parigi composta diversamente.
17. Dinanzi alla Cour d’appel de renvoi (Corte d’appello di rinvio) le società ricorrenti contestarono la regolarità delle perquisizioni e dei sequestri effettuati dagli inquirenti, privi di autorizzazione giudiziaria, secondo quanto disposto dall’ordinanza del 1945. Esse invocarono l’articolo 8 della Convenzione.
18. L’8 aprile 1994, il Capo del Servizio della concorrenza e dell’orientamento delle attività, dipendente dalla DGCCRF, presentò per conto del Ministro dell’Economia osservazioni complementari in questi termini:
(...)
19. Il 4 luglio 1994, la Corte d’appello di Parigi, composta diversamente, considerò in particolare:
(...)
20. La Corte d’appello inflisse sanzioni pecuniarie di cinque milioni di franchi alla prima società ricorrente, di tre milioni di franchi alla seconda e di sei milioni alla terza. Le società ricorrenti ricorsero di nuovo in cassazione.
21. Con sentenza del 4 giugno 1996, pubblicata sul BOCCRF, la Corte di cassazione rigettò i ricorsi. In particolare, la Corte di cassazione rigettò la motivazione fondata sull’articolo 8 della Convenzione considerando, in particolare, “che l’indagine amministrativa (...) non [aveva] dato luogo ad alcuna perquisizione o misura coercitiva”.



(...)



(...)









28. Le ricorrenti ritengono che gli interventi degli inquirenti dell’amministrazione, il 19 novembre ed il 15 ottobre 1986, hanno dato luogo alla violazione del domicilio delle società, in assenza di qualsivoglia controllo o restrizione nei confronti degli inquirenti. Esse invocano l’articolo 8 della Convenzione, le cui disposizioni si leggono come segue:
“ 1. Ogni persona ha diritto al rispetto (...) del suo domicilio e della sua corrispondenza.
2. Non può aversi interferenza di una autorità pubblica nell’esercizio di questo diritto a meno che questa ingerenza sia prevista dalla legge e costituisca una misura che, in una società democratica, è necessaria (...) per la prevenzione dei reati, (...) o per la protezione dei diritti e delle altrui libertà.”.
29. Il Governo rappresenta che in ottemperanza alle disposizioni dell’ordinanza del 1945, gli inquirenti si vedono riconoscere un diritto generale di acquisizione (1) , rafforzato, all’occorrenza, da un potere di sequestro. Sebbene non sottoposte ad un’autorizzazione preventiva da parte del magistrato, tali prerogative potevano essere oggetto di un controllo giudiziario a posteriori dinanzi alle giurisdizioni ordinarie o amministrative. Il Governo sottolinea che anche se, nel caso di specie, le indagini sono state effettuate ai sensi delle disposizioni dell’ordinanza del 1945, sono stati applicati anche i nuovi meccanismi procedurali risultanti dall’ordinanza del 1° dicembre 1986, tanto che le società ricorrenti hanno potuto esperire il ricorso giurisdizionale di nuova istituzione e, nell’ambito di quest’ultimo, contestare le modalità operative delle indagini. È necessario sottolineare che ormai il regime giuridico vigente dist
ingue tra un potere investigativo ordinario ed un potere sottoposto all’autorizzazione preventiva del magistrato giudicante. Dal combinato disposto degli articoli 47 e 48 dell’ordinanza del 1986 risulta che il diritto di accesso senza preventiva autorizzazione di cui dispongono gli inquirenti non può essere esercitato che in locali adibiti ad uso professionale ed unicamente per visionare ed acquisire documenti. I poteri dei servizi della DGCCRF sono sottoposti all’autorizzazione di un magistrato attraverso un’ordinanza - che consente anche un eventuale ricorso in cassazione - al fine di poter accedere a locali adibiti ad uso professionale e di procedere al sequestro di documenti. Tali operazioni sono controllate dal giudice.
30. Il Governo sottolinea che sebbene la Corte abbia precisato che il domicilio ad uso professionale benefici della protezione enunciata dall’articolo 8, si tratta, tuttavia, allo stesso tempo, di locali nei quali una persona fisica esercita la propria attività. Condividendo quanto sostenuto nella sentenza Niemietz, ritiene che nel caso di specie, trattandosi di locali ad uso professionale delle ricorrenti, società anonime, l’ingerenza possa “essere ben più ampia”. Sostiene che se alle persone giuridiche possono essere riconosciuti, in seno alla Convenzione, diritti simili a quelli riconosciuti alle persone fisiche, tuttavia le prime non possono rivendicare il diritto alla protezione dei locali ad uso commerciale con la medesima intensità con la quale può farlo il singolo per il proprio domicilio professionale.31. D’altra parte, il Governo ritiene che le operazioni contestate non siano riconducibili ad una perquisizione (secondo quanto sancito dal codice di procedura penale) né ad una ispezione domicilia
re (secondo quanto sancito dal codice delle dogane). Le modalità degli interventi sono diverse per natura, oggetto ed effetti. Esse non sono state effettuate da ufficiali di polizia giudiziaria o da agenti giurati per individuare reati o infrazioni doganali, al fine di condannare persone fisiche a pene detentive come nel caso Funke, Crémieux e Miailhe contro Francia (sentenze del 25 febbraio 1993, serie A n. 256-A, B e C). In questo caso, gli agenti inquirenti si sono recati nei locali delle società ricorrenti ed hanno esercitato un diritto generale di acquisizione di documenti alle condizioni previste dall’articolo 15 dell’ordinanza n. 45-1484 del 30 giugno 1945. Si trattava di farsi consegnare documenti, nel contesto di un’inchiesta amministrativa relativa a comportamenti anticoncorrenziali, che non possono essere oggetto che di sanzioni pecuniarie, con l’esclusione di qualsivoglia sanzione penale. Il compito di valutare le conseguenze delle inchieste della DGCCRF e di irrogare le relative ammende è sta
to affidato ad un’autorità amministrativa indipendente, il Consiglio della Concorrenza, incaricata di svolgere attività di polizia economica. Il meccanismo è specifico anche se rispetta il contraddittorio ed è sottoposto al controllo dei giudici della Corte d’appello. Nel caso di specie, sia la Corte d’appello di Parigi che la Corte di cassazione hanno ritenuto che l’inchiesta amministrativa non avesse dato luogo ad alcuna perquisizione o misura coercitiva.
32. Tuttavia, il Governo ammette che tale diritto di acquisizione (di atti) comporta un’ingerenza al diritto delle società ricorrenti del rispetto del proprio domicilio, ai sensi dell’articolo 8 della Convenzione. Sottolinea che le operazioni sono state effettuate in conformità con le disposizioni dell’articolo 15 dell’ordinanza del 30 giugno 1945; tale legislazione definisce l’estensione e le modalità per l’esercizio dei poteri degli inquirenti della DGCCRF, escludendo qualsiasi rischio di arbitrarietà. Le giurisdizioni competenti esercitano naturalmente un controllo a posteriori, ma efficace e reale. L’ingerenza era dunque prevista dalla legge. Il Governo evidenzia che l’ingerenza mirava a stabilire la sussistenza di procedure anticoncorrenziali; perseguiva, dunque, obiettivi legittimi ai sensi del secondo paragrafo dell’articolo 8: le operazioni effettuate miravano contemporaneamente al “benessere economico” e alla “prevenzione di reati” (vds. mutatis mutandis, sentenza Funke c. Francia sopra
citata, § 52).
33. Il Governo ritiene che l’ingerenza nei diritti delle società ricorrenti non appare sproporzionata considerata l’ampiezza delle operazioni condotte simultaneamente al fine di evitare la scomparsa o la dissimulazione di elementi di prova la cui acquisizione si è resa necessaria per il perseguimento dei reati. Inoltre, si avvale del margine di discrezionalità lasciato agli Stati per giudicare sulla necessità dell’ingerenza: è ammesso un diritto più ampio per locali ad uso commerciale o per attività professionali. In questo caso, l’esercizio del diritto di acquisizione viene effettuato in locali adibiti ad uso commerciale di persone giuridiche, che non sempre corrispondono al luogo ufficiale della sede sociale, senza essere accompagnate da misure “intrusive” quali perquisizioni o misure coercitive. In ogni caso il Governo ritiene che le ricorrenti non possano pretendere di aver subito conseguenze dannose evidenti da tale ingerenza poiché esse non hanno invocato una pretesa violazione del loro diritto ch
e dopo diversi anni dal momento in cui si sono verificate le misure contestate.
34. Pertanto, il Governo ritiene che l’esercizio del diritto di acquisizione da parte degli agenti inquirenti non abbia violato l’art. 8 della Convenzione. Conclude ritenendo manifestamente infondate le argomentazioni del cancelliere e invita la Corte a rigettare l’istanza.
35. Le ricorrenti ritengono di essere state oggetto di una vera e propria ispezione domiciliare. L’ordinanza n. 45-1484 del 30 giugno 1945 rendeva possibile, senza alcuna limitazione, l’accesso degli agenti a tutti i locali ad eccezione di quelli ad uso abitativo. L’ingerenza era quindi sancita dalla legge. Esse sottolineano che l’ordinanza del 1° dicembre 1986 è posteriore di oltre un anno ai fatti contestati. Le garanzie previste da questa ordinanza che fanno da corollario a ispezioni e sequestri non esistevano, dunque, nel diritto applicabile al momento dei fatti di che trattasi. Esse ritengono che se la Corte ritiene di non doversi pronunciare sulle riforme legislative intervenute dopo i fatti della causa, l’istituzione, con l’ordinanza del 1° dicembre 1986, di una procedura di autorizzazione giudiziaria, integrata da garanzie di controllo da parte di un giudice durante l’intervento degli inquirenti, ne fa risaltare l’assenza nel diritto applicabile al momento dei fatti.
36. Lo scopo perseguito per mezzo dell’ingerenza non richiama osservazioni da parte delle ricorrenti. Queste contestano la qualificazione riservata dal Governo alle operazioni contestate, secondo la quale gli inquirenti si sarebbero limitati a procedere all’acquisizione dei documenti. Facendo riferimento alle osservazioni complementari presentate dal Ministro dell’Economia in risposta alle scritture che eccepivano la violazione dell’art. 8 della Convenzione, esse ne deducono che il Ministro non faccia alcuna differenziazione tra il diritto di acquisizione ed il diritto di perquisizione poiché fa riferimento al controllo giudiziario introdotto dall’articolo 48 dell’ordinanza del 1° dicembre 1986, che si limita alle “ispezioni in qualsiasi luogo” ossia, tanto le ispezioni domiciliari (al fine di cercare e raccogliere prove) che le perquisizioni. Esse concludono dunque che, tanto per il Ministro che per la sua amministrazione dalla quale dipendono gli inquirenti, il diritto di acquisizione di documenti (
art. 15) e il diritto di perquisizione (art. 16) costituiscono un insieme indivisibile. D’altra parte, il fatto che si ponga la problematica sulla natura esatta delle operazioni testimonia l’assenza totale di garanzie o di limiti ai poteri degli inquirenti: i verbali riportano “il sequestro” dei documenti senza precisare se ottenuti esercitando il diritto di acquisizione o il diritto di perquisizione, non essendovi adeguate garanzie in entrambi i casi. Esse fanno osservare come l’assenza di controllo delle operazioni da parte di un giudice consentisse agli inquirenti di poter passare in qualsiasi momento ad esercitare il diritto di acquisizione ovvero di perquisizione. Infine, esse sostengono che il riferimento alle sentenze della Corte d’appello di Parigi ed alla Corte di cassazione in assenza di misura coercitiva sarebbe puramente teorico dal momento che gli inquirenti hanno il diritto e la possibilità pratica di perquisire, anche quando non esercitano che il diritto di acquisizione. Essi, cioè, eserc
itano tale diritto con il rischio che possa trasformarsi in perquisizione.
37. Facendo riferimento ai casi Funke, Crémieux e Miailhe, le ricorrenti sottolineano che se la condizione del diritto in materia di concorrenza era all’epoca paragonabile al diritto in materia di dogane, l’assenza di garanzie era ancora più evidente nel primo. Esse ritengono che il Governo non abbia saputo argomentare diversamente se non adducendo che le misure in questione “non erano state operate da ufficiali di p.g.”. Esse ritengono che l’argomento secondo il quale i meccanismi procedurali dell’ordinanza del 1986 sono stati applicati alle inchieste in corso non dovrebbe essere preso in considerazione: le misure contestate hanno avuto luogo il 19 novembre 1985, ossia oltre un anno prima dell’ordinanza del 1° dicembre 1986. Le nuove misure di controllo previste sono legate, pertanto, all’esigenza di un’autorizzazione giudiziaria preventiva per mezzo di un’ordinanza. Nel caso di specie, in mancanza di un’autorizzazione giudiziaria, nessun giudice ha potuto controllare l’ispezione ed il sequestro.
Il controllo a posteriori risulta dall’ordinanza di un giudice che può essere impugnata mediante un ricorso in cassazione. Concretamente, esse non hanno potuto beneficiare all’epoca di un ricorso giurisdizionale specifico avverso le misure contestate. Esse hanno potuto unicamente censurare, numerosi anni dopo, la procedura di merito.
38. Pertanto, le ricorrenti ritengono che non sia stato rispettato l’equilibrio tra gli obiettivi perseguiti e le misure ammissibili. Anche se la Corte dovesse interpretare la sentenza Niemietz come favorevole ad autorizzare un’ingerenza più marcata in locali adibiti ad uso professionale o commerciale, una tale ingerenza, non integrata da un controllo o da un limite ai poteri investigativi, non potrebbe passare per legittima. Inoltre, esse ritengono che l’argomentazione secondo la quale tali misure sono in grado di comportare solo sanzioni pecuniarie e non sanzioni penali propriamente dette non ha la portata che il Governo tenta di darle. Infine, il fatto che le ricorrenti siano società ha ancor meno incidenza nel caso di specie, visto che sono stati sequestrati documenti commerciali ma anche documenti personali degli impiegati (note manoscritte ed estratti di agende comprendenti appuntamenti personali). Il numero totale dei documenti sequestrati non è conosciuto per l’insieme delle imprese in causa per m
ancanza di valutazione completa, quelli sottoposti alle giurisdizioni rappresentavano, tuttavia, un volume di molti metri cubi.
39. In tali circostanze, le ricorrenti concludono per la violazione dell’art. 8 della Convenzione.

I. Principi derivanti dall’art. 8 della Convenzione e relativa applicabilità al “domicilio” delle persone giuridiche
40. La Corte ha modo di constatare, in primo luogo, che il caso di specie si distingue dalle questioni Funke, Crémieux e Miailhe contro Francia del 25 febbraio 1993, sopra citate, in quanto le ricorrenti sono persone giuridiche che invocano la violazione del “domicilio” conformemente a quanto sancito dall’art. 8 della Convenzione. Tuttavia, la Corte ricorda che ai sensi della propria giurisprudenza, il termine “domicilio” ha una connotazione più ampia della parola “home” e può ricomprendere per esempio l’ufficio o il gabinetto di un professionista (vds. sentenza Niemietz c. Germania del 16 dicembre 1996, Serie A n. 251-B, p.34 § 30). Già nella questione Chappel contro Regno Unito, la Corte ha ritenuto che una perquisizione effettuata presso il domicilio di una persona fisica ed allo stesso tempo sede degli uffici di una società da questi controllata, costituisce ingerenza nel diritto al rispetto del domicilio, ai sensi dell’art. 8 della Convenzione (vds. tale sentenza del 30 marzo 1989, Serie A n. 15
2-A, p. 13 § 25 b) e p. 26 § 63).
41. La Corte ricorda che la Convenzione è uno strumento vivo da interpretare alla luce delle condizioni di vita attuale (vds. mutatis mutandis, sentenza Cossey c. Regno Unito del 27 settembre 1990, Serie A n. 184 p. 14 § 35 in fine). Trattandosi di diritti riconosciuti alle società dalla Convenzione, è il caso di sottolineare che la Corte ha già riconosciuto, secondo quanto disposto dall’art. 41, il diritto alla riparazione del pregiudizio morale subito da una società secondo il disposto dell’art. 6 § 1 della Convenzione (vds. Sentenza Comingersoll c. Portogallo [GC] n. 35382/97 §§ 33/35, CEDH 2000-IV, del 6 aprile 2000). Nell’estensione dell’interpretazione dinamica della Convenzione, la Corte ritiene che è tempo di riconoscere, in determinate circostanze, che i diritti garantiti secondo il disposto dell’art. 8 della Convenzione possono essere interpretati come includenti, per una società, il diritto al rispetto della sede sociale, dell’agenzia o dei locali adibiti ad uso professionale (vds. mutatis mu
tandis sentenza Niemietz c. Germania sopra citata, p. 34 § 30).
42. Nel caso di specie, la Corte ha modo di constatare che nel corso di una vasta inchiesta amministrativa, agenti della DGCCRF si sono recati presso sedi e agenzie delle società ricorrenti al fine di procedere al sequestro di migliaia di documenti. Essa ha modo di constatare che il Governo non contesta che vi sia stata ingerenza nel diritto delle società ricorrenti al rispetto del loro domicilio (paragrafo 30, sopra), ritiene, tuttavia, che esse non possano rivendicare un diritto alla protezione dei locali “con la stessa intensità di un soggetto per il proprio domicilio professionale” (paragrafo 28, sopra) e, dunque, che l’ingerenza possa “essere più ampia”. È necessario, allora, chiarire se l’ingerenza contestata in relazione al domicilio delle ricorrenti possa soddisfare alle condizioni del paragrafo 2.

II. L’esigenza di una misura “prevista dalla legge”
43. La Corte ricorda come un’ingerenza non possa passare come “prevista dalla legge” se dapprima non trova una base nel diritto interno (vds. mutatis mutandis sentenza Chappel c. Regno Unito sopra citata, p. 22 § 52). Conformemente alla giurisprudenza degli organi della Convenzione, nel contesto del paragrafo 2 dell’art. 8 della Convenzione, il termine “legge” deve essere inteso nella sua accezione “materiale” e non “formale”. In un settore coperto dal diritto scritto, la “legge” è il testo in vigore nella versione in cui le giurisdizioni competenti l’hanno interpretato (vds. mutatis mutandis sentenze Kruslin e Huvig c. Francia del 24 aprile 1990, Serie A, n. 176 A e B, rispettivamente p. 22 § 29 e p. 53 § 28). In questo caso, le ispezioni domiciliari e i sequestri di documenti effettuati dagli inquirenti della DGCCRF trovano fondamento giuridico nelle competenze riconosciute loro dagli artt. 15 e 16 alinea 2 dell’ordinanza del 30 giugno 1945, che regolamentano i poteri investigativi connessi al
perseguimento di reati economici in materia di concorrenza. La Corte ha avuto modo di constatare, quindi, che l’ingerenza è stata “prevista dalla legge”.

III. Scopo legittimo
44. L’ingerenza al domicilio delle ricorrenti tende alla ricerca di indizi e di prove sulla sussistenza di intenti illeciti tra imprese di lavori pubblici nella stipulazione dei mercati di lavori stradali. Evidentemente, l’ingerenza persegue allo stesso tempo il “benessere economico del paese” e la “prevenzione dei reati”. Rimane da esaminare se l’ingerenza sia proporzionata e possa essere considerata come necessaria al perseguimento di tali obiettivi.

IV. “Necessario”, “in una società democratica”
45. La Corte sottolinea che il Governo ritiene che, in virtù delle disposizioni dell’ordinanza del 1945, gli agenti non hanno esercitato che un diritto generale di acquisizione, rafforzato da un potere di sequestro e che non vi siano state né “ispezioni domiciliari”, né “perquisizioni”. Le prerogative degli agenti inquirenti, benché non sottoposte ad autorizzazione preventiva di un magistrato, sono state oggetto di controllo giudiziario a posteriori. Il Governo considera l’ingerenza non sproporzionata e si avvale del margine di valutazione lasciato agli Stati che può essere più ampio per locali ad uso commerciale o per attività professionali. Le ricorrenti ritengono di essere state oggetto di una ispezione domiciliare e sottolineano che gli artt. 15 e 16 alinea 2 dell’ordinanza del 1945 conferiscono agli agenti il potere di effettuare ispezioni e sequestri senza autorizzazione giudiziaria preventiva e senza un controllo nel corso delle operazioni. Le garanzie previste dall’ordinanza del 1986, che comp
rendono ispezioni e sequestri, non esistevano nel diritto applicabile al momento dei fatti. Le ricorrenti ritengono dunque che l’ingerenza non sia stata proporzionata agli scopi perseguiti.
46. La Corte ha modo di constatare che le operazioni ordinate dall’amministrazione sono state effettuate allo stesso tempo presso sedi ed agenzie delle ricorrenti che figuravano su una “lista di imprese da visitare” (vds. paragrafo 9, sopra); gli agenti inquirenti sono entrati senza autorizzazione giudiziaria nelle sedi o agenzie delle ricorrenti al fine di acquisire e sequestrare numerosi documenti che costituiscono la prova degli intenti illeciti. Alla Corte sembra che tali operazioni rappresentino, per modalità di esecuzione, misure intrusive al “domicilio” delle ricorrenti (vds. paragrafo 11, sopra). La Corte ritiene che se il Ministero dell’Economia, da cui dipendeva all’epoca dei fatti l’amministrazione competente per ordinare le inchieste, non ha distinto, come sottolineano le ricorrenti, il potere di acquisizione da quello di perquisizione o di ispezione (vds. paragrafo 18, sopra), non spetta ad esso mettere fine alla questione poiché, comunque sia, “l’ingerenza contestata si rivela incompat
ibile con altri aspetti” (vds. mutatis mutandis sentenze Funke c. Francia p.23 § 51, Crémieux c. Francia p. 63 § 40 e Miailhe c. Francia p. 90 § 38, già citate).47. Certamente, secondo costante giurisprudenza della Corte, gli Stati contraenti hanno un margine di valutazione per giudicare sulla necessità dell’ingerenza, ma esso va contemperato al controllo europeo. Le eccezioni che dispone il paragrafo 2 dell’art. 8 richiamano un’interpretazione restrittiva (sentenze Klass e altri c. Germania del 6 settembre 1978, Serie A n. 28, p. 21 § 42) e tale esigenza in un caso concreto deve essere stabilita in modo convincente (sentenze Funke, Crémieux e Miailhe c. Francia, sopra citate, rispettivamente p. 24, § 55, p. 62 § 39 e p. 89 § 36).
48. La Corte ritiene che se l’ampiezza delle operazioni condotte al fine di evitare, come sottolinea il Governo, la scomparsa o la dissimulazione di elementi di prova di pratiche anticoncorrenziali ha giustificato le ingerenze contestate al domicilio delle ricorrenti, occorrerebbe che la legislazione e la pratica in materia offrissero garanzie adeguate e sufficienti contro gli abusi (vds. ibidem mutatis mutandis rispettivamente p. 24 § 56, p. 62 § 39 e p. 90 § 37).
49. Essa ha modo di constatare che non è andata così in questa circostanza. In effetti all’epoca dei fatti - poiché la Corte non si è dovuta pronunciare sulle riforme legislative del 1986 che miravano a sottoporre il potere investigativo degli inquirenti ad un’autorizzazione preventiva di un magistrato dell’ordinamento giudiziario - l’amministrazione competente disponeva di poteri molto ampi che, in applicazione dell’ordinanza del 1945, le consentivano di valutare solo opportunità, numero, durata ed ampiezza delle operazioni contestate. Per di più, le operazioni contestate sono state effettuate senza mandato preventivo dell’autorità giudiziaria e senza la presenza di un ufficiale di p.g. (vds. ibidem mutatis mutandis rispettivamente p. 25 § 57, p. 63 § 40 e p. 90 § 38). In tali circostanze, considerato che il diritto d’ingerenza può essere più ampio per i locali adibiti ad uso commerciale di una persona giuridica (vds. mutatis mutandis sentenza Niemetz c. Germania citata sopra p. 34, § 31), la Corte ri
tiene, tenuto conto delle modalità sopra descritte, che le operazioni contestate condotte nel settore della concorrenza non potrebbero essere considerate strettamente proporzionate agli scopi legittimi perseguiti (sentenze Funke p. 25 § 57, Crémieux p. 63 § 40 e Miailhe p.90 § 38).
50. In conclusione, vi è stata violazione dell’art. 8.




51. A termini dell’articolo 41 della Convenzione,
“Se la Corte dichiara che vi sia stata violazione alla Convenzione o ai suoi Protocolli, e se il diritto interno dell’Alta Parte contraente non consente di cancellare che in modo imperfetto le conseguenze di tale violazione, la Corte accorda alla parte lesa, eventualmente, un’equa soddisfazione”.

A. Danno
52. Le ricorrenti fanno notare che il Governo ha impiegato quasi tre anni, a partire dalla decisione della Corte costituzionale del 29 dicembre 1983, per abrogare l’ordinanza del 1945 e che le autorità amministrative hanno continuato nel frattempo ad adottare disposizioni regolamentari di cui non potevano ignorare il contrasto alla Costituzione e ai principi dell’art. 8 della Convenzione. Le operazioni contestate sono state effettuate proprio in tale intervallo temporale. Inoltre, esse sottolineano come non sia stata raccomandata alcuna minima precauzione agli agenti inquirenti. Avuto riguardo alla procedura successiva di rinvio della questione dinanzi alla Corte d’appello di Parigi, le ricorrenti fanno notare che quest’ultima giurisdizione non ha tratto le giuste conseguenze dalle osservazioni presentate dal Ministro in risposta alle scritture che eccepiscono la violazione dell’articolo 8 della Convenzione. Secondo le ricorrenti, le argomentazioni del Ministro avrebbero logicamente dovuto condurre tale
giurisdizione, alla luce delle questioni Funke, Crémieux e Miailhe, a constatare la violazione dell’articolo 8 e dunque annullare la procedura investigativa. Ciò si sarebbe dovuto effettuare proprio motu e attraverso un’affermazione di principio non risultante da nessuno degli elementi materiali a disposizione poiché la Corte d’appello di Parigi aveva comunque ritenuto - nel caso di specie - che fosse stato esercitato solo il diritto di acquisizione. Le società ritengono che l’autorità giudiziaria abbia “salvato” la procedura a scapito della giurisprudenza della Corte. Sul piano pratico, i comportamenti contestati hanno comportato per le ricorrenti le seguenti condanne: 5.000.000 FF per la Società Colas-Est, 3.000.000 FF per la Società Colas-Sud-Ovest e 6.000.000 FF per la Sacer. Esse ritengono che la concessione di un’equa soddisfazione dovrebbe compensare l’iniquità risultante dal pagamento delle sanzioni pecuniarie non dovute nel caso in cui la documentazione sequestrata in violazione dell’art. 8
non fosse stata acquisita dalle giurisdizioni adite e da esse utilizzata. Di conseguenza, esse chiedono alla Corte di voler loro accordare il rimborso delle ammende pagate a titolo di pregiudizio subito.
53. Il Governo ritiene assolutamente sproporzionata la richiesta di rimborso delle ammende cui le ricorrenti sono state condannate, ossia quattordici milioni di franchi. Sottolinea che tali ammende avevano lo scopo di sanzionare accertate pratiche anticoncorrenziali e che nessun elemento consente di ritenere che se le operazioni di controllo presso la sede delle società ricorrenti si fossero svolte in un contesto giuridico diverso da quello in cui sono state effettuate, la procedura avrebbe consentito di pervenire a un risultato identico e a una condanna. In ragione di ciò, ritiene che le richieste debbano essere rigettate poiché non è riscontrabile alcun nesso di causalità tra violazione addotta, condizioni nelle quali è stato operato il controllo presso la sede delle società e pregiudizio lamentato. Di conseguenza, ritiene che l’accertamento della violazione sarebbe sufficiente a riparare il pregiudizio subito dalle ricorrenti. Sottolinea che nella questione Crémieux, invocata dalle ricorrenti e recante an
alogo gravame, la Corte ha stimato che la semplice constatazione della trasgressione costituisse di per sé un’equa riparazione.
54. La Corte nota che le ricorrenti sollecitano a titolo di risarcimento il montante delle ammende inflitte loro in ragione di condanne emesse nei loro confronti da giurisdizioni nazionali. La Corte non saprebbe certo teorizzare l’esito delle operazioni degli agenti inquirenti nel contesto di una procedura conforme all’articolo 8 della Convenzione. Ricorda di aver concluso con la constatazione della violazione dell’articolo 8 della Convenzione poiché le procedure investigative non sono state effettuate nel rispetto di tale disposizione.
55. È per questo motivo, conclude, che le società ricorrenti hanno subito un danno morale certo e in tale contesto, deliberando in conformità a quanto sancito dall’articolo 41, concede a ciascuna ricorrente 5.000 Euro a titolo di risarcimento.

B. Spese e tasse
56. Con fatture documentate, le ricorrenti reclamano le spese degli avvocati assunti per l’insieme della procedura nazionale. La Corte ricorda che nel caso in cui abbia modo di constatare una violazione della Convenzione, può accordare al ricorrente il pagamento delle spese e delle tasse sostenuto dinanzi alle giurisdizioni nazionali per prevenire o far correggere l’accertata violazione (vds. sentenza Zimmermann e Steiner c. Svizzera del 13 luglio 1983, serie A n. 66, § 36 e sentenza Hertel c. Svizzera, del 25 agosto 1998, Raccolta delle sentenze e delle decisioni 1998-VI, § 63). Nel caso di specie, ha modo di constatare che a partire dal momento del rinvio della questione, dalla Corte di cassazione dinanzi alla Corte d’appello di Parigi, le ricorrenti hanno invocato il diritto al rispetto del domicilio, diritto la cui violazione la Corte riconosce. La Corte ha modo di constatare anche che esse giustificano allo stesso modo le pretese concernenti la produzione di fatture per le spese sostenute a far data d
al rinvio della questione dinanzi alla Corte d’appello di Parigi il cui montante è ripartito tra le ricorrenti come segue. 91.700 FF, per La Società Colas-Est, 184.100 FF, per la Società Colas-Sud-Ovest e 31.700 FF, per la Sacer. Tuttavia, la Corte ha modo di constatare anche che la totalità delle spese sostenute non intende “necessariamente” porre rimedio alla violazione constatata ed essa non può essere considerata come “ragionevole” nel quantum. Di conseguenza, deliberando con equità, accorda rispettivamente alle ricorrenti le somme seguenti: 3.500 Euro (“EUR”) per la Società Colas-Est, EUR 7.000 per la Società Colas-Sud-Ovest ed EUR 1.200 per la Sacer, aumentate della somma dovuta a titolo di tassa sul valore aggiunto (“TVA”). Per ciò che concerne le spese sostenute dinanzi agli organi della Convenzione accorda a ciascuna delle società ricorrenti la somma di EUR 3.200, aumentata della somma dovuta a titolo di TVA.

C. Interessi di mora
57. Secondo le informazioni di cui dispone la Corte, il tasso d’interesse legale applicabile in Francia alla data d’adozione della presente sentenza è del 4,26 % annuo.PER QUESTI MOTIVI, LA CORTE, ALL’UNANIMITA’
1. Considerato che vi è stata una violazione dell’articolo 8 della Convenzione:
2. Considerato
a) che lo Stato convenuto è tenuto a versare alle ricorrenti, nel termine di tre mesi a partire dal giorno in cui la sentenza diviene definitiva in conformità a quanto previsto dall’art. 44 § 2 della Convenzione, le seguenti somme:
i. a titolo di risarcimento morale: a ciascuna società, EUR 5.000 (cinquemila euro);
ii. per spese e tasse:
- EUR 6.700 (seimilasettecento euro), per al Società Colas-Est,
- EUR 10.200 (diecimiladuecento euro), per la Società Colas-Ovest, e
- EUR 4.400 (quattromilaquattrocento euro) per la Società Sacer,
iii. aumentate della somma dovuta a titolo di TVA;
b) che tali somme saranno maggiorate di un interesse semplice pari al 4,26% annuo a far data della scadenza del termine sopra indicato e fino al momento del versamento.
3. Rigetta la richiesta di equa riparazione per l’eccedenza.

Fatta a Parigi in francese, poi comunicata per iscritto il 16 aprile 2002, in applicazione dell’art. 77 §§2 e 3 del regolamento.


S. DOLLE L. LOUCAIDES
Cancelliere Presidente


(*) Corte Europea dei Diritti dell’Uomo - Sentenza Società Colas Est ed altre contro Francia n. 37971/97, Strasburgo,
16 luglio 2002, concernente l’applicazione dell’art. 8 della Convenzione dei diritti dell’uomo

(1) Nel testo francese si trova la dizione droit de communication con la quale si intende il diritto conferito ad agenti di diverse amministrazioni (amministrazione fiscale, dogane) di prendere conoscenza di documenti relativi a contribuenti, sia per conto proprio che per conto terzi (organismi pubblici, banche, imprese industriali e commerciali) (ndr).

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